22 Dicembre 2024
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– Triscina di Selinunte come la Valle dei Templi. La prima è una frazione di Castelvetrano, fatta di 5mila unità immobiliari, tutte abusive. Con le meravigliose rovine di Selinunte ad un passo. La seconda l’improvvida location sulla quale l’ex sindaco, come ha certificato la Corte dei Conti, ha perpetuato un incredibile scempio. Omettendo, ed in alcuni casi ostacolando, la lotta all’abusivismo edilizio.Il Lungomare di Vindicio a Formia come l’area di Casarinaccio ad Ardea. Ville moderne costruite direttamente su strutture romane. Esempi di abusi perpetrati a danno di vincoli archeologici esistenti. Ma non rispettati. Come accaduto anche a Palmaria, davanti a Portovenere, dove era stato innalzato il celebre “scheletrone” (abbattuto nel 2009). Oppure a Treppiedi di Modica, dove gli “ecomostri” sono stati demoliti nel 2011.

L’abusivismo edilizio, sfortunatamente, è un fenomeno che in Italia non conosce crisi. Anzi prospera. Ovunque. Come dimostrano i dati raccolti da Paolo Berdini nel libro “Breve storia dell’abuso edilizio in Italia” (Donzelli, pp. VIII-168, euro 16,50). Per il periodo compreso tra il 1948 e il 2009, 4.600.000 cioè 74.200 l’anno, 203 al giorno. Cifra impressionante che ha prodotto 453.500 edifici illegali, 7.314 all’anno, 20 al giorno. Distribuiti, seppur con più che sensibili differenze da regione a regione, sull’intero territorio nazionale.

Abusivismo da un lato, Patrimonio storico-archeologico e Paesaggio, Città e Territori, dall’altro. Eterni sfidanti di una battaglia senza reali vincitori. Con al centro la macchina statale, sostanzialmente incapace di rispondere in maniera efficace, di ostacolare davvero il primo e difendere davvero il secondo. Ma anche di assicurare risposte in tempi certi alle richieste di quanti volevano realizzare una nuova costruzione.

In questa ottica, presumibilmente, il Governo ha voluto porre mano alla materia con l’articolo 12 del nuovo disegno in materia di semplificazione. Eliminando il decreto legge 70 del 2011 che sanciva il “silenzio-rifiuto” per quanto riguarda le aree vincolate e il “silenzio-assenso” per quelle non vincolate. Introducendo l’obbligo per l’ente di rispondere sempre anche quando il parere è negativo, alla richiesta dell’impresa o del cittadino, entro il termine di 45 giorni.

La nuova norma interviene sui tempi, partendo dal presupposto che la semplificazione possa costituire una sorta di deterrente agli abusi. Almeno ad una parte di essi. Scelta legittima. Ma opinabile. Dal momento che la decisione di modificare i termini della questione non sembra prevedere un contemporaneo intervento sul contesto. Insomma la riorganizzazione degli organi deputati ad assicurare pronte risposte. Si modifica meritoriamente la norma, garantendo una risposta entro 45 giorni. Si sceglie di agire sui tempi della burocrazia. Uno dei riconosciuti “talloni d’Achille” italiani. Ma colpevolmente si lascia inalterata la fragile (e scarna) impalcatura amministrativa che dovrebbe assicurare tempi certi.

Un discorso che accomuna Soprintendenze, Regioni e Comuni. Tutti a dover far fronte a numerosissime richieste con un organico sempre più ridotto. Gli uffici competenti della gran parte dei Comuni italiani hanno finito per essere sommersi dalle pratiche, dopo i condoni edilizi craxiani e berlusconiani. Accumulando ritardi quasi incolmabili. Ancora di più risultano inadeguate le Soprintendenze, con un personale generalmente sottodimensionato rispetto alle necessità. Tanto più, proprio nelle quattro regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Puglia e Campania), nelle quali secondo il Cresme si concentra il 59,6% delle abitazioni abusive. Regioni nelle quali il patrimonio storico-archeologico è più densamente rappresentato. E dunque sarebbe necessario fosse monitorato con sopralluoghi frequenti.

Il pericolo è quello paventato da alcuni. Che nell’attesa di una risposta fuori tempo massimo dei soprintendenti asfissiati dal lavoro, le Regioni e i Comuni consentano di costruire anche nelle “aree più delicate”. Di fronte a questo cambiamento normativo che, almeno per quanto riguarda le zone con vincoli, sembra addirittura promettere scempi maggiori di quelli perpetrati finora, il Ministro Ornaghi naturalmente è di ben altro avviso. A suo dire “non c’è nessuna diminuzione del livello di tutela del paesaggio e dei beni culturali poiché la nuova norma (…) ha solo ribadito il diritto del cittadino ad avere in ogni caso una risposta espressa e motivata sulla propria domanda di permesso di costruire”.

Verrebbe da dire che è diritto del cittadino anche poter usufruire, nel rispetto dovuto, di siti archeologici e monumenti. In maniera consona. Evitando di vedere interrotto il basolato della via Appia antica, nella campagna di Lanuvio, da una villetta che negli anni ’80 vi si è impiantata proprio al di sopra. Evitando di osservare come la villa di Poppea e quella di Lucius Cassius, a Torre Annunziata, siano circondate da orrendi palazzi e palazzine.

Viene in mente ciò che scrisse nel 1775 Alphonse De Sade, a proposito del patrimonio pompeiano, in Viaggio in Italia. “Ma in quali mani si trova, gran Dio! Perché mai il Cielo invia tali ricchezze a gente così poco in grado di apprezzarle?”. Qualcuno continua ancora a chiederselo.

 

Fonte: libertiamo.it

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