Liti condominiali: a pochi giorni dalla data di attivazione, fissata per il 20 marzo prossimo, pur la grande diffusione da parte dei mezzi di comunicazione, la notizia sembra non stimolare più di tanto gli italiani. Eppure, l’argomento è dei più controversi: le liti condominiali, di cui si è occupato il decreto legislativo 4 marzo 2010, nr. 28, recante Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n.69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali (articolo 5, comma 1) e dal decreto ministeriale 180.
Prima di entrare nel merito della notizia e per evitare che anche il contenuto della presente nota finisca per essere sottovalutato, è necessario esaminare l’art. 1 del decreto legislativo, riservato alle “definizioni” che stabiliscono cosa debba intendersi per:
a) mediazione: l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa;
b) mediatore: la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo;
c) conciliazione: la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione;
d) organismo: l’ente pubblico o privato, presso il quale può svolgersi il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto;
e) registro: il registro degli organismi istituito con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 16 del presente decreto, nonché, sino all’emanazione di tale decreto, il registro degli organismi istituito con il decreto del Ministro della giustizia 23 luglio 2004, n. 222. Invece, il Capo II tratta “Del procedimento di mediazione” e all’art. 5, comma I, a proposito di “Condizione di procedibilità e rapporti con il processo”, statuisce:
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1. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni.
Abbiamo attinto “ad abundantiam” (per scimmiottare, imitare i latini allorquando si riferivano ad eccessi) dal decreto, proprio con l’intento di essere seriosi. E nella speranza che la consapevolezza di risolvere in minor tempo una qualsiasi lite condominiale, ne riduca le occasioni.
L’obbligo di affidarsi al giudizio del “mediatore”, la cui figura è tracciata in modo molto chiaro nel decreto ripetuto, quale primo filtro della controversia non è da minimizzare. Infatti, proprio il “mediatore” dovrà adoperarsi per far comprendere ai litigiosi condòmini quale sia la strada della conciliazione. In altri termini, il “mediatore” ha il còmpito di gettare acqua sul fuoco, come fanno i vigili del fuoco, nel tentativo di acquietare gli animi, di riconciliare. Il fine ultimo è diverso da quello che ciascuno dei contendenti gradirebbe perseguire. Anziché far valere la propria tesi e tenere il broncio all’infinito, ciascun contendente dovrà valutare la soluzione prospettata dal “mediatore”, ben sapendo di dover rinunciare al litigio. Per poi vivere in pace.
L’inconciliabilità, dal momento che la decisione del “mediatore” non è vincolante, porterebbe i contendenti da una sola parte: l’aula del Tribunale.
Fonte: agoramagazine.it